Circa un anno fa ho pubblicato con l’editore abruzzese Tabula Fati (Gruppo Solfanelli) l’antologia di racconti distopici “Apocalissi fiorentine”. È capitato così che venissi contattato da un curatore di antologie della casa, David Ferrante, per partecipare a un progetto tutto abruzzese, la raccolta di racconti ispirati a miti e leggende di questa regione “Fate, Pandafeche e Mazzamurelli” (Tabula Fati, Luglio 2020). Sono nato a Roma e vivo a Firenze, ma la terra di D’Annunzio non mi è indifferente. Da ragazzino avevamo una casa per le vacanze vicino Tagliacozzo, nella Marsica, campagna aspra che sorgeva sotto la vetta tagliente del Monte Velino. Inoltre, mi è già capitato di scrivere storie gotiche, quale il romanzo a più mani “Il Settimo Plenilunio”. Dunque, ho accolto con piacere la proposta.
David Ferrante mi ha dato precise istruzioni su come scrivere questo racconto: doveva trattare della leggenda della Grotta di Giannandrea, dei misteriosi lanci di pietre, dei tumuli funerari e dei lupari. C’ho aggiunto le mie memorie giovanili di Tagliacozzo (ormai perse nel tempo e quasi mito anch’esse) e le leggende sull’origine del popolo dei Marsi, devoto al Dio Mamerte, progenitore del dio della guerra romano Marte, con i riti della Primavera Sacra, e ne è nato così il racconto “Spirito di Lupo” in cui la voce narrante è dello stesso Dio Mamerte, che osserva con sconcerto il diffondersi della fede in un nuovo Dio venuto dall’Oriente. I lupi li ho presi un po’ a prestito dalla mia saga di romanzi ucronici “Via da Sparta”. Per entrambi sono debitore verso il saggio “Il lupo e il filosofo” di Mark Rowlands.

David Ferrante
Ora ho finalmente ricevuto le mie copie del volume e ho così potuto leggere anche gli altri racconti, che ho trovato tutti molto belli, cosa che mi fa molto piacere. Mi sento dunque onorato di far parte di una raccolta di ottima qualità.
Come scrive David Ferrante nella “Presentazione”, con questo libro si intende “abbandonare il bisogno di logica e lasciarsi trasportare nell’apparente irrazionalità delle leggende e dei miti. Rendere feconda di stupore, fantasia e ingenuità la fredda terra del razionale raccontando il folklore, la sapienza del popolo”.
Abbiamo dunque ripreso in mano “storie che provenivano dal passato, impastate di pietre di montagna, acqua gelida di fiume, trasportate dal vento”.
Nel fantastico americano di rado si sente il respiro della Storia, la ricchezza della Geografia dei luoghi narrati. Questo, invece, c’è spesso nel fantastico italiano e, in particolare, in questa silloge.
Ecco così che nel racconto di apertura di Giovanni D’Alessandro (autore di rilievo che ha già pubblicato con Mondadori e Rizzoli) il protagonista è nientemeno che Publio Ovidio Nasone, il poeta sulmonese delle “Metamorfosi” (una sorta di enciclopedia dei miti latini). Vi si parla di spettri e filtri magici, degli antichi Marsi e dei Peligni.
Il mito del lupo mannaro ha origini antichissime e non è certo specifico dell’Abruzzo. Persino nella Bibbia si dice della trasformazione in lupo di Nabucodonosor. Nel XIX secolo ne scrivevano, per esempio. Baring-Gould, Maturin, Reynolds e Dumas, nessuno dei quali è, come è ovvio, abruzzese. Eppure “lu lupe manare” assume qui una sua diversa natura e connotazione. “Lu lupe manare è lu dimonie!”. Nel racconto di Laura Di Nicola si legge quello che forse è lo spirito con cui si narravano da noi queste storie:
“Ada non raccontava mai ai suoi bambini le lugubri storie di mostri e stanassi con l’intento di spaventarli, come faceva la vecchia Maria, ma per insegnare loro che quella terra crudele e bellissima in cui erano nati apparteneva anche alle creature selvatiche, alle volpi, ai cinghiali e ai lupi, per cui dovevano averne rispetto e cercare di conviverci. Perché perfino la bestia dall’aspetto più terribile può celare un cuore puro, mentre spesso la malvagità dell’uomo usa la maschera di un lupo per manifestarsi.” Visione di un popolo che vive nella terra e con la terra. Peccato che l’illusione dell’uomo antico che vive in armonia con gli animali sia anch’essa solo una leggenda, se come appare ormai evidente l’umanità ha iniziato lo sterminio di tutte le specie animali di grandi dimensioni sin dalla preistoria, come si legge, per esempio nell’interessante saggio di Elizabeth Kolbert “La sesta estinzione”.
Il curatore David Ferrante è presente anche con una sua storia, che ci parla di mazzamurelli, figura questa davvero locale, “quel folletto che è il tramite tra il mondo dei vivi e quello dei morti, che annuncia eventi buoni e cattivi e il passaggio di un guerriero”.
Il racconto ci rimanda a come era la vita nelle campagne italiane una o due generazioni fa, con la gente costretta a emigrare da una terra avara, con i giochi fatti di cose semplici, con la famiglia come punto di riferimento.
Di nuovo riappare la Storia nelle pagine di Fabio Ferrante, con gli scontri tra le famiglie degli Orsini e dei Colonna, mentre si parla di un fantasma che protegge un antico tesoro. (“Pecchè ci sta lu fantasme, lu demonje scerrate”), ma anche di un mondo difficile, in cui un giovane per campare ha poche alternative “Ormai ha quindici anni, deve lavorare. Altrimenti si facesse prete”.
Melania Fusconi, autrice fantasy di cui ho già letto il romanzo “I cimeli ancestrali” (Tabula Fati, 2019), cita “Twilight”, ma ci parla piuttosto di erbe dai poteri magici come la Stregonia e cita anche il medico greco Discoride e il mito di Maia, da cui, secondo alcuni, deriverebbe il nome del mese di Maggio e che ha strane somiglianze con la vergine Maria, cui il mese è dedicato.
Silva Ganzitti, oltre che autrice, è editor di Tabula Fati (ha anche rivisto il mio “Apocalissi fiorentine”). Ci parla della leggenda di un antico e sventurato amore tra un capitano di ventura e una principessa, mutatasi poi in fantasma.
Fa dire a un suo personaggio, parole che credo non si possano non condividere: “Temevo che la storia della Ritorna diventasse un refrain commerciale, un altro di quei trucchetti per accalappiare turismo a buon mercato. Avevo un’altra idea dell’Abruzzo, e non volevo che venisse svenduto come una regione piena di superstizioni”.
Bella anche la riflessione finale: “la figura esile di donna, fatta di luce di luna, è al centro di quest’utopia che mi fa pensare alla morte come a una strana forma di vita, presente e assente allo stesso tempo”.
Annalisa Marcellini ci parla di fate, “creature piccolissime che si annidano soprattutto nelle fessure e nei crepacci, tra gli alberi secolari, oppure nei pressi delle sorgive”, ma anche esseri suscettibili, che si irritano facilmente, anche solo perché qualcuno ha bevuto a una fonte senza averle consultate, al punto di vendicarsi rapendo un bambino e sostituendolo con un loro figlio mostruoso.
Nel racconto di Angelo Marenzana (altro autore dal notevole curriculum) di nuovo compare la Storia e vediamo stregoni di paese assieme al XII Plotone della Brigata Maiella e ai tedeschi della Wermacht durante la Seconda Guerra Mondiale, con un gallo capace di covare uova da cui “fa nascere lu basilische”, il “serpente a tre teste che uccide con lo sguardo” e “l’ommene divente de prete” come sotto gli occhi della mitica Medusa o nei film di Harry Potter.
Annarita Petrino, di cui ho già letto il romanzo fantascientifico “Quando Borg posò lo sguardo su Eve” (Tabula Fati, 2019) ci parla dello Scijjone, un sifone che custodisce segreti demoniaci che, come scrive Ferrante, “se tagliato con lu cultelle de sante Libboije, scompare lasciando dietro di sé l’urlo di chi è stato ferito”.
“Sono pochi quelli che sfuggono ai sifoni e possono raccontarlo”, scrive Annarita Petrino.
Nicoletta Romanelli ci racconta di come “nella magica notte di Ognissanti, così densa di presagi, il mondo dei vivi e quello dei morti entrassero in contatto e che gli spiriti tornassero a far visita alle loro famiglie.” Per Stephen King o altri autori dell’horror americano, questa potrebbe essere la base di una storia di paura. In Italia le cose girano diversamente: “Caterina si commuoveva sempre a questo pensiero, segno di un amore che non finisce con la morte”. Credo che in questa frase della Romanelli ci sia molto dello spirito che distingue la visione italiana (e abruzzese) del magico da quella anglo-americana, che, inevitabilmente ha contaminato tutta la letteratura mondiale, compresa la nostra, ma dalla quale quest’antologia pare magicamente vaccinata. Abbiamo qui un esempio di visione attraverso gli occhi di una morta che rimanda agli studi sul tema di H. G. Wells nell’antologia “L’uomo invisibile e dieci racconti”, ma l’autrice invece di renderci il senso di angoscia dell’inglese, conclude dicendo che la protagonista “aveva ricevuto un dono prezioso quella notte di tanti anni prima, aveva ricevuto la pace e la serenità del cuore”.
Inutile dire che anche in questo racconto compare la Storia e vi vediamo una bambina morire durante un bombardamento aereo nel 1944.
Chiude questo interessante volume Manuela Toto che ci parla di pandafeche, malocchi e profezie.
“Vivevamo ai margini di un pensiero fisso che come un chiodo aveva trapassato mio nonno e poi mio padre: il mondo è un luogo ostile e non ti puoi fidare”. Visione arcaica e forse contadina, dalla quale nascono facilmente le paure e la credenza che il male venga perché qualcuno ce lo getta addosso, ci fa il malocchio. E il malocchio si accompagna alla maldicenza, che nei paesi può fare danni anche più seri, “decideva le sorti sociali di ogni alunno della scuola. La mia targa appesa al collo diceva che ero malvagia come mia nonna Mimì: «capelli neri, cattivi pensieri»”. Bastava poco per trovarsi un’etichetta attaccata addosso.
“I bambini nascono morti solo alle famiglie cattive”: tanto può credere la superstizione!
E le pandafeche che cosa sono? Un’altra delle tante forme dell’incubo (di cui ho scritto nel mio romanzo “La bambina dei sogni”) in forma femminile: “questi umani sono solo involucri di paure antiche e io non faccio altro che nutrirmi del terrore con cui ciascuno di loro è nato”.
Non posso che concludere complimentandomi con gli altri autori e con il curatore per la coerenza e l’omogeneità che è riuscito a dare a questo volume, opera di fantasia ma pur sempre testimonianza di una cultura e di uno spirito locale, ma che risente di contaminazioni che vengono anche da molto lontano.
Posted by TUTTI I LIBRI DEL 2020 | La legenda di Carlo Menzinger on 1 gennaio 2021 at 16:54
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